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L’incredibile storia di Eric LeMarque, ex giocatore di hockey sul ghiaccio, ci regala una preziosa lezione sulla capacità umana di cambiare e iniziare una nuova vita anche nelle circostanze più terribili, quando tutto sembra perduto.
“Ero un bravo bambino. Un bambino forte. Ho sempre provato un irrefrenabile desiderio di vincere. Prendevo tutto come una competizione. L’hockey era il mio sport e quello sport era diventato la mia droga. Ne ho prese tante a hockey: mi sono fatto molto male, ho sbattuto contro le barriere, mi sono slogato una spalla, mi sono distrutto un ginocchio e non ho camminato per un’estate, sono caduto di faccia e ho dovuto mangiare da una cannuccia, ho preso colpi, sono caduto e mi sono rialzato. È così che vincevo, finché non mi ha colpito qualcosa che non potevo battere. Ero diventato dipendente da un’altra droga. Mi creava un finto senso di vittoria. Ero nell’oscurità. Mi ero perso.”
Questo è il monologo con cui si apre l’inizio del film “L’ultima discesa” (6 Below: Miracle on the Mountain), diretto da Scott Waugh (2017), che racconta l’incredibile storia di Eric LeMarque, ex hockeista americano.
Ma chi è Eric LeMarque? Eric nasce a Parigi, in Francia, nel 1969, e cresce a West Hills, in California. Da qui la sua doppia cittadinanza francese-americana. Divenuto giocatore di Hockey su ghiaccio, comincia la sua carriera nella squadra universitaria del Northern Michigan all’età di diciassette anni. A diciotto, durante il Draft della National Hockey League (NHL), viene selezionato dai dirigenti dei Boston Bruins. Tuttavia non gioca neppure una partita nella NHL e tre anni dopo si trasferisce al Briançon, in Francia, dove vi rimane soltanto per un anno. Nella stagione successiva firma per i Greensboro Monarchs e quattro anni dopo per i Brest. Chiude la sua carriera nel 1999, con la maglia degli Arkansas Glaciercats, una squadra americana. La sua ascesa al successo viene purtroppo interrotta dalla dipendenza “da un’altra droga”, la metanfetamina. Eric si sente perso. Perso nell’oscurità. Ma non sa che la sua vita sarebbe completamente cambiata qualche anno dopo. Il 6 febbraio del 2004, dopo essere partito per fare snowboard da solo nell'High Sierra, in California, finisce fuori pista e si perde tra le montagne ghiacciate. Otto giorni disperso tra la neve e il ghiaccio, tra la vita e la morte. Costretto a sopravvivere a temperature di dieci gradi sottozero, senza nient’altro che un cellulare scarico, una radio ricetrasmittente e una scatola di fiammiferi. Questa è la storia che racconta lui stesso nella sua autobiografia Crystal Clear (2009) e che viene riportata nella pellicola di Scott Waugh.
Tutto comincia da quel 6 febbraio del 2004, quando Eric parte da solo per fare snowboard nell’High Sierra in California. Eric è ancora nel tunnel della tossicodipendenza, tantoché si porta con sé una busta di Metanfetamina. Ignorando completamente gli avvertimenti sull’arrivo di un’imminente bufera, decide di uscire sulla sua tavola da snow. Finisce fuori pista e, quando comincia la tormenta, ormai è troppo tardi. Si è perso e non ha nessun modo di sapere come tornare indietro. Le cose si fanno sempre più gravi e pericolose man mano che passano le ore e i giorni. Deve sopportare la fame, la sete, il freddo, l’astinenza e non solo. Si trova persino costretto a dover fuggire da un branco di lupi affamati. La sua corsa finisce sulla superficie di un lago ghiacciato. La lastra di ghiaccio cede ed Eric sprofonda nell’acqua gelida, rischiando di morire annegato.
Non si arrende. Cade e si rialza. Continua a lottare, a sfidare i flashback del suo passato, tutti gli errori, che lo hanno portato in un tunnel di tossicodipendenza, fino a perdersi in una tundra gelida e piena di insidie, costretto a sopportare temperature al limite della sopravvivenza. E, nonostante le gambe siano quasi sul punto di cedere, continua imperterrito a camminare ogni giorno. Cade e si rialza. I ricordi che gli riaffiorano alla mente riescono a dargli la forza per non arrendersi. Aveva distrutto la sua vita e, ora più che mai, voleva avere una seconda possibilità.
Nel frattempo la madre, Susan, preoccupata per il figlio che non risponde alle sue chiamate da giorni, raggiunge lo chalet in cui alloggia e, non trovandolo, decide di contattare la squadra di soccorso. Sono già passati sette giorni da quando Eric è partito per andare in pista; i soccorritori pensano che sia ormai troppo tardi per salvarlo. Fanno un tentativo, ma non riescono a trovarlo. Quando Eric si accorge che lo stanno cercando, il suo unico obiettivo è raggiungere la vetta di una montagna alta circa 1300 metri, l’unico punto in cui la sua radio ricetrasmittente avrebbe potuto trasmettere o ricevere un segnale. Eric ce la fa: compie il miracolo. Una forza incredibile emerge dalla disperazione, dalla consapevolezza degli errori commessi in passato e dalla voglia di vivere e di cambiare. Mancano ancora dodici passi per raggiungere la cima della montagna. Ci mette tutta la determinazione che ha, tutta la volontà di vivere e di rinascere, e quando ce la fa, poco prima di crollare a terra, ricorda a se stesso: “Dobbiamo vivere guardando avanti, ma tutto ha senso solo quando ci guardiamo indietro.”
La squadra di soccorso riesce finalmente a localizzarlo e a metterlo in salvo. Eric sopravvive ma, a causa del gelo che ha dovuto sopportare, è costretto a subire l’amputazione di entrambe le gambe. Un anno dopo, con le protesi, Eric riesce a compiere un altro miracolo: tornare sulla stessa pista a fare snowboarding.
Il film si conclude con un monologo che, non solo racchiude il senso della sua vita, ma vuole far riflettere ognuno di noi:
“A volte ci si fa male. Cadi. Non riesci a rialzarti e scivoli ancora più giù. Prima della montagna non mi ero accorto di quanto fossi caduto in basso. Forse dovevo passare tutto questo per tornare a vivere. A volte deve morire una parte di noi, forse la parte che amiamo di più, prima di renderci conto che ciò che davvero ci completa è qualcosa di molto più grande. Se siete al buio, attraversatelo senza perdere di vista l’invisibile, perché così, raggiungerete l’impossibile …”
Questo è il messaggio che Eric vuole trasmettere al mondo: la speranza di poterci credere ancora. La forza che esiste in ognuno di noi. Quella stessa forza che ci consente di superare ogni difficoltà, di attraversare il buio e di raggiungere i propri sogni. La luce.
Oggi Eric è uno speaker motivazionale e allenatore di Hockey, e continua a diffondere il suo messaggio di speranza in tutto il mondo.
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