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Da piccolo ho sempre sognato di essere un supereroe. Mi ricordo che a scuola passavo il tempo a disegnare uomini con super poteri pronti a rischiare la propria vita pur di proteggere i più deboli, gli indifesi e gli innocenti. Non so per quale motivo. Ad oggi, continuo a perseguire questo mio sogno. Un giorno lessi una citazione che alimentò questo desiderio e mi diede il potere di riconoscere i supereroi del mio tempo. La citazione diceva questo :”Diventate individui forti dal punto di vista fisico, intellettuale e spirituale. Essere forti in tutti questi aspetti è l’ideale. Molti possono essere forti in uno o due, ma solo quando tutti e tre gli aspetti vengono curati si può godere di una vita equilibrata e realizzata. Chi alimenta la propria forza da tutti i punti di vista non sarà mai sconfitto.”
Questa citazione risvegliò in me il potere da supereroe e mi indicò la strada per diventarlo. Allora iniziai a vivere come mi indicava la citazione. Sentivo un sentimento di assoluta libertà nell’affrontare i drammi della mia esistenza e più aumentava la pressione dall’esterno delle difficoltà, più aumentava la determinazione e il coraggio nel risolvere i problemi della mia esistenza. La voglia di condividere le mie esperienze con le persone accanto a me divenne sempre più forte. La paura è contagiosa e ci paralizza, come gli occhi della Gorgona. L’avversario, incrociando il suo sguardo, rimaneva immobile e terrorizzato. Ma anche il coraggio è contagioso e illumina il cammino di speranza, per chi ha paura, come un faro che illumina la via in una notte buia e tetra.
Mentre ero alla ricerca di nuovi supereroi, che potessero aiutarmi nella mia missione di proteggere l’umanità, mi imbattei nella lettura della biografia di un grande condottiero e guerriero africano del XX secolo: Thomas Sankara. Thomas Isidore Noel Sankara nacque il 21 dicembre del 1949 a Yako, nell’est Alto Volta. Terzo di dieci tra fratelli e sorelle è figlio di Marguerite e Sambo Joseph Sankara, ferventi cattolici di etnia Mossi.
Continuando la lettura della sua biografia, le immagini vivide della situazione dell’Alto Volta, dove Thomas adolescente viveva, iniziano a prendere forma. Scorgo quella sublime e dannata ostinazione a non accettare la realtà del suo paese, quelle semplici domande che tutti avrebbero dovuto fare ma, che solo lui poteva formulare. E le domande come sempre sono semplici nella loro formulazione, ma sono molto profonde, disarmanti e, se rispondono alla realtà nuda e cruda, sono difficili da accettare: perché sono nato in una Nazione dove il suo nome è stato scelto e imposto da altri? Perché nella nostra Nazione c’è un conflitto che dura da quasi 80 anni? Perché tutti noi viviamo in assoluta povertà? Perché tutti noi moriamo di fame? Perché non abbiamo acqua per dissetarci e lavarci? Perché siamo sfruttati dai colonialisti francesi da quasi 80 anni? Perché non abbiamo diritto di essere felici?
Con queste domande nel cuore il giovane Thomas Sankara iniziò a manifestare il suo potere da supereroe. E quale sarebbe questo potere? Quello di decidere di cambiare il destino della sua Nazione. Decise di portare a termine la sua formazione intellettuale e politica per mettere le sue capacità al servizio del suo Popolo. A 19 anni Sankara si trasferì in Madagascar, dove ricevette una formazione da ufficiale dell’esercito e dove poté assistere alle rivolte scoppiate tra il 1971 e il 1972 contro il presidente Philibert Tsiranana.
In Madagascar, Sankara si avvicina alle teorie marxiste e leniniste che influenzarono il resto della sua vita.
Un’ altra tappa importante della formazione di Sankara è il soggiorno a Parigi, dove, osservando i movimenti di lotta europei, constata che qualunque processo rivoluzionario esige una coscienza di massa in grado di maturare solo se l’accesso alla cultura è vasto e diffuso. Intuisce, inoltre, che l’atto più rivoluzionario in assoluto consiste nella decolonizzazione della mentalità degli africani: un risultato che richiede la liberazione dalla sudditanza culturale e psicologica imposta dagli occidentali, nonché strumento di oppressione in grado di favorire, con la depredazione dell’Africa, l’imposizione di interessi economici contrari al bisogno delle masse.
Così arrivò il 4 agosto del 1983 anno in cui Sankara divenne Presidente dell’ Alto Volta. All’inizio del suo mandato, egli sa bene che il suo popolo è composto al 95% da contadini e allevatori e ritiene inammissibile che i politici, i dipendenti dei ministri, i dirigenti e gli impiegati non prendano la zappa in mano. Inventò così l’operazione Uffici verdi e funzionari ai campi, con cui impose la coltivazione di piante negli uffici, assegnando a ciascun ministero un terreno da coltivare.
Nei villaggi, Sankara fece distribuire radioline a pile e installare ripetitori, promuovendo trasmissioni incentrate su tematiche didattiche, dall’igiene personale alle tecniche di coltivazione dei campi, e poi tanta cultura e notizie dal mondo. Aprì la radio nazionale ai contadini, inventò la trasmissione del mattino Radio entrate e parlate: un microfono aperto tutti i giorni senza vincoli e senza censure: una palestra di libertà, di suggerimenti, di spunti, di idee; uno spazio per accogliere consigli e per migliorare le proposte.
Cambiò anche il nome della nazione e, da un’espressione puramente geografica, legata al fiume Volta, si andò verso una parola fatta di sangue e carne, di sogni e di cuore: Burkina Faso, il paese degli uomini integri, liberi. Sankara unì due termini presi dalle due lingue più diffuse del paese, il moorè e il diula. Dal moorè recupera la parola Burkina, che significa integrità, onore. Mentre dal diula prende la parola Faso, che significa terra, territorio, patria. I cittadini diventano burkinabè, in cui il suffisso “bè” rappresenta, in lingua peul, il concetto di abitante, di cittadino, senza distinzione di genere, senza distinguere tra uomini e donne. Tutto ciò è la concretizzazione di una trasformazione sociale senza precedenti, di uno slancio partecipativo impressionante, di una volontà che crede nel socialismo come grande forza creativa, costruttrice dell’uguaglianza e della solidarietà.
Con queste azioni un altro potere da supereroe si manifestò nella vita del giovane capitano, quello di infondere coraggio, ispirazione e speranza nel cuore del suo popolo, fu una chiamata per ogni singolo cittadino a essere protagonista nel costruire e contribuire alla costruzione della felicità e del benessere della propria nazione. Difatti lo stesso Sankara ricordava: ”La scheda per votare e l’apparato elettorale non significano automaticamente l’esistenza della democrazia. Invece dove il popolo può dire ogni giorno quello che pensa, quella sì che è una vera democrazia, perché ogni giorno il governo si deve dimostrare degno della fiducia del popolo. Non si può concepire la democrazia senza il potere completamente del popolo”.
Ora che il suo popolo si era alzato, Sankara iniziò a farne conoscere al mondo intero le reali condizioni attraverso la Trentanovesima Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il 4 ottobre del 1984, il Leone del Burkina Faso, Thomas Sankara, affermò senza mezzi termini: ”Presidente, Segretario generale, rappresentanti della comunità internazionale. Vi porto i saluti fraterni di un paese di 274000 chilometri quadrati in cui sette milioni di bambini, donne e uomini si rifiutano di morire di ignoranza, di fame e di sete, non riuscendo più a vivere nonostante abbiano alle spalle un quarto di secolo di esistenza come stato sovrano rappresentato alle Nazioni Unite. Sono davanti a voi in nome di un popolo che ha deciso, sul suolo dei propri antenati, di affermare, d’ora in avanti, se stesso e farsi carico della propria storia - negli aspetti positivi quanto in quelli negativi – senza la minima esitazione.
Non pretendo qui di affermare dottrine. Non sono né un messia né un profeta: non posseggo verità. I miei obiettivi sono due: in primo luogo, parlare in nome del mio popolo. Il popolo del Burkina Faso, con parole semplici, con il linguaggio dei fatti e della chiarezza; e poi, arrivare a esprimere, a modo mio, la parola del “grande popolo dei diseredati”, di coloro che appartengono a quel mondo che viene sprezzantemente chiamato Terzo mondo. E dire, anche se non riesco a farle comprendere, le ragioni della nostra rivolta”.
Nel suo pensiero, occorre procedere, innanzitutto, al rilancio della cultura popolare in forma di valori per meglio contrastare i disvalori rappresentati dall’eurocentrismo e dal paternalismo delle organizzazioni internazionali. Contro questo processo degenerativo, l’unico aiuto accettabile è quello che “aiuta a far meno dell’aiuto”;
“Abbiamo scelto di rischiare nuove vie per giungere a una maggiore felicità. Abbiamo scelto di applicare nuove tecniche e stiamo cercando nuove forme organizzative più adatte alla nostra civiltà, respingendo duramente e definitivamente ogni forma di diktat esterno, al fine di creare le condizioni per una dignità pari al nostro valore. Respingere l’idea di una mera sopravvivenza e alleviare le pressioni insostenibili: liberare le campagne dalla paralisi e dalla regressione feudale; democratizzare la nostra società, aprire le nostre a un universo di responsabilità collettiva, per osare inventare l’avvenire. Smontare l’apparato amministrativo per ricostruire una nuova immagine di dipendente statale; fondere il nostro esercito con il popolo attraverso il lavoro produttivo avendo ben presente che, senza un’educazione politica patriottica, non è nient’altro che un potenziale criminale. Questo è il nostro programma politico.
Signor Presidente, ho viaggiato per migliaia di chilometri. Sono venuto qui per chiedere a ciascuno di voi di unirvi in uno sforzo comune perché abbia fine l’arroganza di chi ha torto, svanisca il triste spettacolo dei bambini che muoiono di fame, sia spazzata via l’ignoranza, vinca la legittima rivolta dei popoli, e tacciano finalmente i suoni di guerra, e che infine si lotti con una volontà comune per la sopravvivenza dell’umanità”.
Portare a conoscenza la vera realtà del Bukina Faso, fatta di povertà estrema e del suo debito nei confronti del Fondo Monetario Internazionale che, con la scusa degli aiuti, teneva il suo popolo in una condizione perenne di schiavitù, provocò non pochi problemi al giovane capitano burkinabè.
Questo ragionamento venne ripreso da Sankara durante la Venticinquesima Conferenza dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA), svoltasi ad Addis Abeba il 9 luglio del 1987. Le sue idee, determinate al non pagamento del presunto “debito pubblico”, provocarono il disagio di diversi membri dell’assemblea perché avrebbero potuto mettere in discussione i giochi di potere, e i relativi interessi, a cui era legato il destino dell’Africa: ”Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso. Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore.
Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun problema; ora che perdono al gioco esigono il rimborso.
E si parla di crisi. No, Signor Presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita continua. Non dobbiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito. Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il debito del sangue. E’ il nostro sangue che è stato versato”.
Oltre a stimolare l’economia locale lanciando il grido “consumiamo burkinabè”, incoraggiando la coltivazione di cotone per la produzione di abiti per tutti, la costruzione di pozzi per garantire il fabbisogno idrico a ogni cittadino per poter espletare le sue funzioni di igiene personale e per il proprio sostentamento, garantendo a ogni cittadino 10 litri d’acqua, il capitano lanciò la campagna di rimboschimento del territorio attraverso la massiccia scolarizzazione dei bambini burkinabè e la lotta per garantire l’emancipazione femminile nella società burkinabè, dichiarando apertamente che le donne avrebbero avuto un ruolo fondamentale nella rivoluzione per garantire felicità, pace e benessere nel futuro del Burkina Faso.
Il pomeriggio del 15 ottobre del 1987, Sankara si sta recando alla sessione straordinaria del Consiglio nazionale della rivoluzione. Ma c’è chi lo attende per chiudere definitivamente questa stagione rivoluzionaria. Una raffica di mitra segna l’esito conclusivo di una rivoluzione che, con il sacrificio di Sankara, giunge al termine.
Ma il suo ultimo potere da grande supereroe contemporaneo si manifestò attraverso le sue idee che, anticipando i tempi, restano di grande attualità e fungono da monito per noi e le future generazioni dell’umanità:
E’ possibile che a causa degli interessi che minaccio, a causa di quelli che certi ambienti chiamano il mio cattivo esempio, con l’aiuto di altri dirigenti pronti a vendersi la rivoluzione, potrei essere ammazzato da un momento all’altro. Ma i semi che abbiamo seminato in Burkina e nel mondo sono qui. Nessuno potrà mai estirparli. Germoglieranno e daranno frutti. Se mi ammazzano arriveranno migliaia di nuovi Sankara.
Fabio Verna
LE IDEE NON SI POSSONO UCCIDERE
Introduzione alla vita e alle opere di Thomas Sankara
Edizioni REDSTARPRESS
pag 26, 27, 28, 29, 30
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