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La paura non insegna a ragionare, aumenta la tensione e la perdita di orientamento nelle scelte da compiere. Non fa porre le giuste domande in merito a quanto sta accadendo dentro e fuori di noi.
La cultura dominante ci vuol fare credere che non possiamo scegliere, che scegliere sia pericoloso e nel dubbio seguiamo, impotenti, quello che la maggioranza accetta.
Ma pongo a me e a voi alcune domande: vogliamo rimanere nella paura dell’insensatezza, accettando il confinamento entro essa?
Oppure possiamo scegliere quello che vorremmo fare accadere, superando la paura in se stessi e la paura degli altri, proprio in questo tempo di pandemia e divenire quello che siamo: archeologi della verità?
Vogliamo liberarci dall’oppressione del pensiero, che impedisce di accedere ai luoghi interiori in cui si trovano coraggio, fiducia, comprensione e curare le nostre vite e le relazioni?
Nessuno al posto nostro può scegliere di liberarci dalle nuove schiavitù del tempo presente, e se pretenderemo di eliminare qualsiasi rischio, rischieremo di eliminare qualsiasi libertà.
“Le radici dell'insicurezza sono molto profonde. Affondano nel nostro modo di vivere, sono segnate dall'indebolimento dei legami interpersonali, dallo sgretolamento delle comunità, dalla sostituzione della solidarietà umana con la competizione senza limiti, dalla tendenza ad affidare nelle mani di singoli la risoluzione di problemi di rilevanza più ampia, sociale.
La paura generata da questa situazione di insicurezza, in un mondo soggetto ai capricci di poteri economici deregolamentati e senza controlli politici, aumenta, si diffonde su tutti gli aspetti delle nostre vite. E quella paura cerca un obiettivo su cui concentrarsi. Un obiettivo concreto, visibile e a portata di mano.” (1)
Così rifletteva il sociologo e filosofo polacco, Zygmunt Bauman, in un’intervista rilasciata al quotidiano Corriere della sera, dal titolo “Le risposte ai demoni che ci perseguitano”.
Quanto citato non può che non farci riflettere su quanto stia avvenendo nelle nostre singole vite, le quali non possono prescindere dal considerarsi tali se non nelle interazioni con l’altro e nell’espressione del valore del proprio agire nella comunità di appartenenza.
Con le attuali limitazioni di libertà di movimento, di assemblea, di diritto allo studio, di condurre l’attività lavorativa e la prospettiva che a tali limiti non si veda la fine, l’insicurezza e la paura stanno caratterizzando tutto il nostro mondo emotivo e plasmando ogni nostro comportamento sociale.
A questi un’informazione mediatica, fondata su un linguaggio poco chiaro e univoco, attraverso una task force “scientista” riduce a mera vita di sopravvivenza tutte le molteplici espressioni dell’essere, e ricompone come uno scenario quello della malattia e la morte. Questo non può che potenziare solo emozioni di angoscia e annichilimento esasperati dal tono di colpevolizzazione, perché le restrizioni sono prese “per il nostro bene” e il dubbio viene bandito nell’inconscio.
E quasi con un pudore ancestrale si evita di parlare delle paure che albergano dentro di noi, come se una debolezza di intenzione ad affrontare la situazione stia diventando lo schema attraverso il quale affrontiamo la vita quotidiana, in rassegnata prostrazione.
È, invece, tempo di parlarne e scoprire quali radici inizino ad essere recise.
Le neuroscienze, che studiano il nostro sistema nervoso e inducono a riflessioni sul mistero irrisolto della coscienza, ci spiegano che la paura ha origine quando un qualsiasi impulso viene trattenuto. Una persona che agisce non ha paura, rimane concentrato su quanto deve affrontare. Oggi questa condizione di movimento psicologico, emozionale e sociale, viene precluso e i nostri impulsi si paralizzano, perché non trovano possibilità di espressione. Le attività lavorative, le relazioni sociali e la mascherina, le attività culturali, artistiche e i tavoli sociali di riflessione e apprendimento, sono stati sospesi e con essi la nostra libertà di scegliere come occuparci delle nostre esistenze.
La paura non insegna a ragionare, aumenta la tensione e la perdita di orientamento nelle scelte da compiere. Non fa porre le giuste domande in merito a quanto sta accadendo dentro e fuori di noi.
Più il tempo va avanti e più la situazione sembra non migliorare, anche di fronte all’accettazione delle limitazioni delle libertà costituzionali, e l’angoscia inizia a soffocare e a modificare la nostra consapevolezza. E se ci avviciniamo alla sfera della consapevolezza, dobbiamo porci il quesito che la vita non si riduce alla sola dimensione corporea, ma altre sfere la connotano.
Dall’antichità, tutto il pensiero filosofico e mistico ha esplorato la portata del potere della vita e cosa la costituisse. La sfera del sacro e il pensiero filosofico delle antiche civiltà, hanno lasciato in eredità la conoscenza dell’uomo, indagando quanto il corpo fosse la manifestazione di un potere operante, chiamato anima o spirito a secondo delle tradizioni e oggi la fisica quantistica sta giungendo alle prove di quella concezione. Ma, senza addentrarci nelle ricerche della quantistica, nell’antichità Platone ne “Il Carmide (dialogo)” (2) portava in evidenza che occuparsi della cura del corpo significasse occuparsi della salute dell’anima. Una concezione dell’uomo poliedrica, che sembrerebbe essere accolta dalla definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che definisce la salute uno "stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”.
Nella civiltà materialistica ci hanno fatto credere che il corpo sia la base di tutto e in nome della salute del corpo si possano sacrificare quelle facoltà della coscienza come l’indipendenza del pensiero, la libertà di scelta, l’autodeterminazione ad agire. Ci ritroviamo più deboli, in una società riduzionista della vera identità umana.
In una società fortemente omologante, caratterizzata dall’unica visione del mondo imposta dalle scelte politiche, economiche, formative e mediatiche, sembrerebbe che la capacità di scegliere, sia diventata la facoltà più fragile. Con un unico modello di comportamento e di pensiero sociale, plasmati dall’impero del consumismo, da una cultura dello spettacolo mediatico e in ultimo dal capitalismo del controllo, i bisogni, le aspirazioni, il significato della nostra vita non sono stati più decisi da noi e ci siamo allontanati dalla verità di chi siamo e potremmo essere. Fare una scelta controcorrente a ciò che è imposto dal modello dominante, rischierebbe di essere bandito con l’isolamento ai margini, privati da quel senso di sicurezza e appartenenza che la comunità dovrebbe offrire.
Ci ritroviamo con profonde lacerazioni esistenziali e la paura diventa convinzione pericolosa dell’assenza di senso della vita e di precipitare nel nulla.
La cultura dominante ci vuol fare credere che non possiamo scegliere, che scegliere sia pericoloso e nel dubbio seguiamo, impotenti, quello che la maggioranza accetta.
Ma pongo a me e a voi alcune domande: vogliamo rimanere nella paura dell’insensatezza, accettando il confinamento entro essa?
Oppure possiamo scegliere quello che vorremo fare accadere, superando la paura in se stessi e la paura degli altri, proprio in questo tempo di pandemia e divenire quello che siamo: archeologi della verità?
Vogliamo liberarci dall’oppressione del pensiero, che impedisce di accedere ai luoghi interiori in cui si trovano coraggio, fiducia, comprensione e curare le nostre vite e le relazioni?
Nessuno al posto nostro può scegliere di liberarci dalle nuove schiavitù del tempo presente, e se pretenderemo di eliminare qualsiasi rischio, rischieremo di eliminare qualsiasi libertà.
(1)Zygmunt Bauman, intervista al Corriera della Sera del 26 luglio 2016
https://www.corriere.it/esteri/16_luglio_25/zygmunt-bauman-le-risposte-demoni-che-ci-perseguitano-b1d972a6-52a3-11e6-9335-9746f12b2562.shtml
(2)Platone, Carmide (dialogo), IV secolo a.C.
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