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“Il nocciolo della tua personalità è l’autostima, quanto ti piaci. Più ti piaci e ti rispetti, meglio farai in qualsiasi cosa tu voglia intraprendere.”
Essere se stessi e accettarsi per quel che si è non è semplice nella nostra società odierna. Siamo sempre influenzati da essa, in un modo o nell’altro, costantemente e fortemente. Tentiamo a voler essere uguali agli altri a tutti i costi pur di evitare di essere esclusi: ciò risulta talvolta qualcosa di troppo duro da sopportare, soprattutto tra i più giovani; e quindi, anche a costo di andare contro se stessi e i propri gusti e ideali, manteniamo lo stesso passo degli altri, in questa società di apparenze.
Ma ad oggi è possibile parlare ancora di individuo come singolo o ci troviamo tutti nella condizione di essere uguali agli altri? Qual è il ruolo della società, e soprattutto dell’interazione sociale, nella nostra vita?
Secondo gli psicologi l’interazione sociale costituisce il contesto essenziale per lo sviluppo del Sé. L’idea che possiamo conoscere noi stessi attraverso l’interazione sociale è alla base del lavoro di Cooley (1902) e della sua teoria del Sé rispecchiato (looking glass self). Essa ipotizza che noi ci vediamo in modo simile a come gli altri ci vedono e reagiscono nei nostri confronti. Comprendiamo quello che siamo, osservando il modo in cui gli altri ci percepiscono ed elaborano un’idea su di noi.
Gli autori contemporanei, per indicare tale fenomeno, utilizzano l’espressione “valutazioni riflesse”.
In realtà, l’idea che le persone vedano se stesse in modo simile a come sono viste dagli altri sembra essere poco supportata dalla letteratura scientifica in merito. Sembrerebbe, invece, che il modo in cui le persone vedono se stesse corrisponde molto poco a come gli altri effettivamente le vedono, ma sarebbe abbastanza simile a come loro stesse credono di essere valutate dagli altri.
Questi risultati possono essere attribuiti a diverse ragioni: innanzitutto, bisogna considerare che l’immagine che gli altri hanno di noi non sempre ci viene comunicata in modo diretto ed esplicito; in secondo luogo, le persone possono in molti casi avere una percezione distorta dei messaggi più o meno espliciti che giungono dagli altri. Visto che non percepiamo sempre in modo accurato quello che gli altri pensano veramente di noi, l’immagine che ci creiamo di noi stessi è più simile a come noi crediamo che gli altri ci vedano. Un riflesso, quindi, delle nostre convinzioni su noi stessi.
In psicologia sociale molti sono gli autori che si sono interessati alle dimensioni sociali del Sé, sostenendo semplicemente che l’appartenenza a gruppi sociali costituisce parte della teoria di Sé di una persona, pertanto una persona si descrive anche in termini dei gruppi sociali ai quali appartiene, ma non solo.
Questa definizione del Sé sociale è anche alla base della teoria dell’identità sociale proposta da Tajfel (1981) e Turner (1985). Secondo tale teoria, le persone, in base alle diverse situazioni, interagiscono prevalentemente in termini di identità personale (in base alle loro caratteristiche di persone specifiche) oppure in termini di identità sociale (in quanto membri di gruppi o categorie sociali). Nelle situazioni in cui l’identità sociale è più saliente, anche l’interazione fra due persone può in realtà configurarsi come una relazione intergruppi, nella misura in cui due persone agiscono prevalentemente in quanto membri di gruppi diversi.
La teoria dell’identità sociale sostiene che il bisogno di mantenere e incrementare una valutazione positiva del proprio Sé, che in queste situazioni è fortemente legata all’immagine del proprio gruppo (ingroup), spinge le persone a favorire il proprio gruppo e a danneggiare l’eso-gruppo (outgroup). In definitiva, tale teoria sottolinea come l’appartenere a gruppi o categorie sociali possa contribuire in modo importante alla teoria del Sé di una persona e alla sua autostima.
Un altro processo attraverso cui le persone ricavano informazioni su loro stesse è quello considerato dalla teoria del confronto sociale (Festinger, 1954). Secondo tale teoria, nell’intento di arrivare a un’accurata valutazione dei propri punti di forza e di debolezza, le persone confrontano le proprie abilità e opinioni con quelle degli altri, nelle molte occasioni in cui non è possibile ricorrere a misure oggettive. È evidente che gli esiti del confronto dipendano dalle persone con cui ci si confronta. Sembrerebbe che la scelta dipenda dallo scopo per il quale il confronto viene effettuato: quando si vuole ottenere un’informazione accurata su se stessi si adotta un confronto con persone simili; quando s’intende rinforzare la propria immagine in senso positivo (strategie di autoaccrescimento o autoprotettive) si adotta un confronto sociale verso il basso (downward social comparison); infine, quando si vuole avere un’idea di quali siano le mete più elevate alle quali si può aspirare (strategie di miglioramento di Sé, self-improvement) è possibile impegnarsi in un confronto sociale verso l’alto (upward social comparison).
Ma come sono organizzate e rappresentate in memoria le conoscenze e le credenze sul Sé?
Ciascuno di noi considera alcune caratteristiche più importanti di altre per definire “che tipo di persona è”. Ad esempio, una persona per la quale l’onestà è un importante valore, avrà uno schema di Sé per l’onestà. Le persone possono, quindi, essere differenziate non solo in termini di quanto si ritengono oneste, ma anche in base all’importanza che esse danno all’onestà.
Higgins (1989) ha sottolineato come noi non sappiamo solo “come siamo” o “come ci vedono gli altri”, ma anche “come vorremmo essere” e “come dovremmo essere”.
In questo è fondamentale aver autostima di sé. La parola autostima deriva dal termine “stima”, ossia la valutazione e l’apprezzamento di sé stessi e degli altri. L’autostima è stata definita come “l’aspetto valutativo della conoscenza riflessiva” (Baumeister, 1998), come “un senso più globale del nostro valore complessivo” (Kunda, 200) e come “un particolare atteggiamento, ovvero una tendenza psicologica che si esprime in risposte valutative verso un determinato oggetto (il Sé; Eagly & Chaiken, 1998).
Le persone con elevata autostima, in genere, si pongono obiettivi elevati, si aspettano di raggiungerli e utilizzano strategie cognitive finalizzate a massimizzare l’auto-accrescimento, mentre le persone con autostima bassa, che hanno paura e si aspettano di non riuscire, adottano strategie cognitive finalizzate a ridurre al minimo il rischio di fallire ed essere umiliati.
Il modello teorico proposto da Tesser (1988) risulta particolarmente utile per rendere conto dei diversi legami che legano autostima e relazioni interpersonali. Si tratta del modello del mantenimento dell’autostima che si propone di integrare due processi, che legano l’autostima alle relazioni interpersonali: il “confronto sociale” e il “riflesso sociale”.
Secondo la teoria del confronto sociale, il successo di una persona vicina a noi susciterebbe un confronto avente come risultato un abbassamento della nostra autostima. Il secondo processo riguarda, invece, ciò che sperimentiamo quando ci sentiamo orgogliosi dei successi di una persona vicino a noi (il nostro partner, nostro figlio, ecc.). Attraverso tale processo innalziamo la nostra autostima perché altre persone alle quali ci sentiamo legati ottengono un successo, processo che si basa sul fatto che noi sentiamo queste persone o gruppi come parte del nostro Sé. A tal proposito è stata utilizzata l’espressione “godere di gloria riflessa” (Cialdini et al, 1976). Per lo stesso motivo, i fallimenti di persone o gruppi che fanno parte del nostro Sé provocano un abbassamento dell’autostima.
Da quanto appena detto, sembrerebbe che i due processi (riflesso e confronto) producano risultati opposti nel caso di un successo di una persona vicina: per integrarli in un unico modello è necessario individuare i fattori che determinano quale dei due processi verrà adottato dalla persona. Il primo di tali fattori è la rilevanza del settore di attività nel quale si verifica il successo/insuccesso della persona vicina a noi: se il settore è rilevante per il Sé, la persona, con grande probabilità, adotterà un processo di confronto sociale; se, invece, il settore è irrilevante per il Sé la persona adotterà, con grande probabilità, un processo di riflesso.
Altro importante fattore è il grado di sicurezza che la persona ha circa le proprie abilità nello specifico settore: quando le persone non conoscono con sicurezza i propri livelli di abilità, cercano di migliorare tale conoscenza, applicando il processo di confronto sociale; al contrario, quando sono sicure di conoscere il proprio livello di abilità (sia esso alto o basso) non ritengono necessario operare confronti e utilizzano il processo di riflesso.
Considerando l’azione congiunta dei due fattori, ci si può attendere che l’utilizzazione del processo di “confronto sociale” sia molto più probabile se il settore di attività è rilevante per il Sé e se questa persona non ha ancora una conoscenza sicura della propria abilità in questo settore. Al contrario, la persona adotterà un processo di “riflesso” sociale in settori di attività poco rilevanti per il Sé e quando si sente del tutto sicura dei propri livelli di abilità.
Molto spesso per mantenere un’autostima positiva, le persone devono costruire quelle che vengono definite “illusioni positive”, credendo di avere capacità che non hanno o hanno solo in parte e di essere immuni da rischi. Malgrado la tendenza generalizzata a costruire tali illusioni positive, la maggior parte degli uomini sembra riuscire ad adattarsi al mondo circostante senza prendere continuamente decisioni sbagliate. Com’è possibile? Sono state suggerite due possibili spiegazioni:
1) le persone riescono ad avere illusioni positive che non si discostano troppo dalla realtà, ovvero si vedono solo un po’ migliori di come sono;
2) le persone sono capaci di disattivare queste credenze illusorie quando devono prendere decisioni importanti.
In genere, i tratti positivi vengono considerati relativamente unici e rari (es. “sono una delle poche persone sincere”), mentre i tratti negativi sono considerati piuttosto comuni (es. “io, come la maggior parte delle persone, ogni tanto dico qualche bugia”).
Come abbiamo visto, le persone traggono informazioni sulle proprie abilità e caratteristiche dal confronto sociale. Nel caso di esiti negativi di tale processo (es. l’altro ha ottenuto un risultato superiore al nostro) possono essere utilizzate tre diverse strategie volte a ridurne l’impatto negativo per l’autostima: esagerare l’abilità della persona che ha ottenuto un risultato superiore al proprio (es. se il mio collega, che ha ottenuto un punteggio più alto del mio è eccezionalmente bravo, potrò sempre sostenere che anche io sono al di sopra della media); cercare di confrontarsi con persone che hanno capacità inferiore alle nostre (confronto verso il basso); modificare la propria teoria di Sé non considerando più particolarmente rilevante per il Sé l’attività nella quale i risultati di questa persona vicina sono migliori dei propri.
Il desiderio di gestire l’impressione che noi facciamo agli altri è considerato un aspetto pervasivo dell’interazione sociale e il modo più ovvio e propositivo di partecipazione del Sé alla vita sociale. La presentazione di Sé è definita come “il tentativo che le persone fanno per veicolare agli altri informazioni o immagini circa loro stesse”.
Alcuni autori hanno sostenuto che l’interesse che tutte le persone, costantemente, provano per l’autopresentazione abbia un ruolo molto importante in gran parte dei risultati ottenuti nelle ricerche in psicologia sociale, in quanto molti degli effetti emessi sembrano essere dovuti al fatto che i partecipanti alle ricerche sapevano di essere osservati.
Vengono solitamente distinti due tipi di autopresentazione: un’autopresentazione strumentale (o strategica), che è quella che viene fatta per fare una buona impressione a qualcuno che può essere strumentale per il raggiungimento di uno scopo desiderato, e un’autopresentazione espressiva, che viene fatta esclusivamente per cercare di vedere confermata una certa immagine di se stessi.
Oggi più che mai, con l’avvento dei social, siamo alla continua ricerca di approvazione, curando la nostra immagine e spesso, nel più triste dei casi, fingendo o emulando qualcun altro.
Perché è importante riuscire ad accettarci oggi? L’amore per se stessi è fondamentale perché è alla base di qualsiasi rapporto che abbiamo con il mondo esterno. Vediamo di continuo immagini poco realistiche di come bisognerebbe essere e di come dovremmo vivere la nostra quotidianità. Ci vengono suggeriti stereotipi di bellezza e stili di vita che non sono facilmente raggiungibili.
Datti amore, che aspetti? Spesso lo diamo per scontato. Spesso scordiamo quanto sia importante non sentirci in dovere di omologarci per essere apprezzati e quanto sia bello essere liberi di essere semplicemente e unicamente se stessi.
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